Dentro ciascuno di noi c’è una storia, c’è un vissuto che ci rende unici e speciali anche in ufficio
Dietro ad un collaboratore o ad un collega, se prendiamo per buono il modello delle divinità dell’antica Grecia, ci sarebbe una persona dotata di dignità in quanto ogni giorno, ciascuno di noi si comporta come se fossimo eroi mitologici che è costretto ad affrontar, assieme alle proprie paure colleghi, superiori o anche solamente dei clienti inferociti.
Ecco perché il rispetto per l’individuo, è parte essenziale della vera etica, è una consapevolezza che dobbiamo coltivare all’interno di noi stessi, perché nessuna legge è in grado di imporcela.
Ma soprattutto non è sufficiente mettere per iscritto la cosiddetta “missione aziendale” con lo scopo di divulgare l’esistenza di un’etica interna, se poi essa viene appesa nelle bacheche all’ingresso dei bagni, delle mense aziendali o degli spogliatoi.
Questa modalità rappresenta un messaggio inconscio che lascia trasparire scetticismo e che trasforma un nobile sforzo in forma senza sostanza.
È come se l’azienda dicesse ai suoi, «lo scriviamo ma siamo i primi che non ci crediamo, tant’è che lo releghiamo il più possibile lontano dal cuore. » (fuor di metafora dal mondo dei sentimenti e delle emozioni)
Perché, simbolicamente, mense e latrine sono un rimando alle parti basse e meno “nobili” del corpo umano appunto.
In questo caso la “missione”, che guarda caso dovrebbe evocare valori “alti”, quindi contenere i principi etici che ispirano l’organizzazione, diventa un documento svuotato della sua reale natura.
È necessario avere a mente ogni giorno il motivo per cui una data azienda è nata, con quale scopo (non solo per fare soldi, ovviamente), per fare cosa, per soddisfare quale bisogno e verso quale direzione si deve andare.
Purtroppo nella quasi totalità dei casi diventa un esercizio sterile fine a se stesso, resta nient’altro che una descrizione molto ambiziosa e piena di buoni propositi, ma di valori che platealmente restano disattesi.
Ed i valori, come dice l’enciclopedia Treccani, «sono [o meglio, dovrebbero essere – secondo noi] gli ideali che orientano le nostre scelte morali, ovvero quei princìpi che i singoli individui od una collettività considerano superiori o preferibili. Essi vengono utilizzati come criterio per giudicare o valutare comportamenti e azioni.»
L’etica, un’illuminazione che viene dall’alto
Come abbiamo visto dalla definizione dell’enciclopedia Treccani, ciò che riguarda i valori, i principi, l’etica, sembrano possedere una sorta di superiorità intrinseca.
L’etica in particolare, dovrebbe fungere da faro che illumina, (ricordate il significato etimologico di etica che deriverebbe dal verbo αἴθω – aito, cioè «risplendere»o che «brilla» o meglio ancora, che «mette sotto una nuova luce» il rapporto tra le persone all’interno dell’organizzazione.
È un’essenza che porta a “riconoscere” il senso più profondo del fare business e che lo trasforma da mero atto di trasformazione della materia o idee, in qualcosa di più “nobile” e quindi più prezioso.
L’organizzazione “impregnata” da questa presa di coscienza, non é più un luogo spersonalizzante, dove le persone indossano una maschera vuoi per essere accettate, vuoi per mimetizzarsi, per fare carriera o per non perdere il proprio lavoro, ma il luogo dove conoscere veramente se stessi, tema che approfondiremo in una prossima occasione, e quindi dove si compie anche un missione sociale e psicologica allo stesso tempo.
“Γνῶθι σεαυτόν” – Conosci te stesso Iscrizione ritrovata presso il tempio di Apollo a Delfi
La funzione dei due emisferi cerebrali, il destro ed il sinistro
Il lavoro assume così un altro significato, poiché diventa il luogo dello sviluppo personale, al di là del valore economico che esso banalmente crea.
L’etica ha poco a che fare con la cultura, con il pensiero razionale.
Ed infatti non viene insegnata nelle accademie e nelle business school dove si coltiva il sapere razionale, quello deputato al pensiero logico.
È vero, l’accademia è indispensabile per conoscere le leggi della fisica e dell’economia e creare strumenti che ci permettono di rendere il lavoro meno faticoso, più efficiente o meno incerto dal punto di vista del ritorno dell’investimento economico.
L’etica invece, ha a che fare con l’emisfero destro del cervello, quello che prima di tutto ascolta il mondo interiore, quello delle proprie emozioni prima e quelle degli altri poi, ma apre anche il cuore ad una visione che va ben al di là del mondo immanente o fenomenico.
L’etica pertanto, sarebbe portatrice di una rinnovata vitalità nell’ambiente produttivo ed i cui effetti si farebbero sentire nella motivazione e nell’entusiasmo con cui si opera.
Etica come integrazione e superamento della ragione kantiana
«tutto ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”
Hegel
Nella suddetta maniera, il compito principale dell’etica, è quello di rinnovare e vivificare l’ambiente di lavoro, superando, quindi non rigettandola tout court, la ragione kantiana.
Ad essa dobbiamo essere infinitamente debitori perché ci ha portato allo sviluppo della civiltà tecnologica moderna ed allo stesso tempo anche fuori da una paludata religiosità dogmatica e superstiziosa.
Ma senza “gettare via il bambino assieme all’acqua sporca” aggiungiamo noi.
Essa porta al risveglio, all’emersione prima ed all’integrazione poi, di quella parte irrazionale ed inconscia di ciascun individuo, quella che chiamiamo psiche, di quella parte che cela il vero tesoro che é dentro di noi, affinché venga messa al servizio dei colleghi e dell’opera di trasformazione che fornisce l’Anima alla creazione del valore aggiunto.
Etica: creare un ambiente favorevole allo sviluppo delle qualità inespresse
L’etica che come abbiamo visto, ci invita in maniera indiretta a muoverci nella direzione della scoperta del nostro mondo interiore ed è fatta non solo di intenzioni, ma di azioni concrete.
Per cominciare consiste nel praticare l’ascolto di chi ci circonda per entrare in sintonia con gli altri, sviluppando così quella dote che si chiama empatia.
Ascoltare, non a caso, è la qualità tipica del buon imprenditore o dirigente che si pone in ascolto delle esigenze del mercato mediante le ricerche di marketing o dei report dei venditori, ma anche tra coloro che a vario livello e con diverse responsabilità sono chiamate a collaborare.
Stiamo parlando in particolare dell’ascolto empatico di chi lavora fianco a fianco con noi, di colei o colui con cui trascorriamo 8 ore e più della nostra vita.
Di una comprensione che è un modo di prendersi cura dell’altro a che lo fa sentire non giudicato, compreso, partecipe di una avventura.
Ascolto che ci fa sentire in mezzo ad esseri umani.
Rispettare l’altro: superare il giudizio e la critica sul luogo di lavoro
Etica è anche la pratica del non giudizio, del non criticare, del rispettare le scelta o le decisioni altrui.
Infatti, il termine “critica” che deriva dal greco κριτικός – kritikos cioè «giudicare», «criticare» esso a sua volta deriva etimologicamente dal verbo κρίνω – krino che significa «separare», «dividere», «giudicare» ma anche «sentenziare».
La critica quindi, genera una divisione, una “frattura”, una “separazione” che ha come conseguenza il deterioramento della fiducia reciproca.
Ma non solo.
Criticare presuppone l’esistenza un’autorità che si pone su un gradino più elevato (non ci riferiamo qui esclusivamente a quella gerarchica) e che ritiene di possedere l’autorità di misurare qualcun’altro in base a dei parametri arbitrari che, come poi l’esperienza ci insegna, sono estremamente arbitrari e soggettivi.
Chi di noi è realmente superiore all’altro?
Chi di noi è in grado di giudicare il mondo interiore altrui e quindi spiegare i motivi perché agisce in un determinato modo?
Nessuno può essere giudice di un altro
Ecco che allora, un’organizzazione basata su valori universali, nel senso di valori condivisi da tutte le culture, religioni e filosofie, o basate sui “giusti principi” secondo l’accezione data a suo tempo dallo studioso americano Stephen Covey, pur rimanendo nel rispetto della gerarchia e della correttezza nei confronti degli stakeholder, non ha senso che ci sia un essere umano che si erge a “giudice” di qualcun altro.
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– fine seconda parte – prosegue
Bibliografia:
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Gian Piero Quaglino (1996), Psicodinamica della vita organizzativa, Raffaello Cortina editore
Gian Piero Quaglino (2005), Leadership, Raffaello Cortina editore
Gian Piero Quaglino (2004), Avere Leadership, Raffaello Cortina editore
Maurizio d’Ambra (2004), Comunicazione e personalità, Zelig editore
Manfred Kets de Vries (2017), Successi e fallimenti della leadership, Edizioni FS
Manfred Kets de Vries (1995), Leader, giullari ed impostori, Raffaello Cortina editore
Daniel Goleman (1996): “Intelligenza emotiva” – Rizzoli editore
Daniel Goleman (1998): “Lavorare con intelligenza emotiva” – Rizzoli editore
Hyrum Smith (2004), Quel che conta davvero, Franco angeli
Aldo Carotenuto (2003), Il tempo delle emozioni. Bompiani
Hertzfeld, Andy (2005), Revolution in the Valley: The Insanely Great Story of How the Mac was Made. Oreilly
Stephen Covey (1989), Le sette abitudini delle persone altamente efficaci. Franco angeli
Robert Piersig (1988), Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta. Adelphi
Lindholm, F. Stokholm, L. Previ (2012): Lego story. Egea.
Francesco Perri – Dizionario di mitologia – Classica Garzanti 1970
Karoly Kerenyi – “Gli dei e gli eroi della Grecia” Il Saggiatore 2015
Enciclopedia Garzanti di Filosofia e Linguistica Epistemologia
Vocabolario online Liddel Scott Jones Greco – LSJ.gr
Vocabolario on Line Dizionario Greco Antico Olivetti e Mitologia Greca a cura di E. Olivetti (II edizione 2015)
Vocabolario della Lingua Greca di Franco Montanari – Loescher editore, II edizione 2004
The Collected Works of C. G. Jung, second edition, Copyright Princeton University Press, 1970
“L’uomo ed i suoi simboli” a cura di C. Jung, Raffaello Cortina editore 1983